Il mondo dell’auto e degli appassionati delle ‘belle macchine’ festeggia domani 26 agosto gli 83 anni di Marcello Gandini, uno dei padri dello stile automobiiistico Italiano e autore di modelli iconici come le Lamborghini Miura, Countach, Diablo, Jalpa, Jarama, Marzal, Urraco ed Espada, la Bertone Stratòs Zero e la successiva Lancia Stratos, ma anche le Alfa Montreal e Carabo, la Bmw Serie 5 E12, la Citroen Bx, le Iso Grifo 90 e Lele, le Fiat 132 e X1/9, le Innocenti Mini 90 e 120, le Renault Supercinque e 5 Turbo, e le Maserati Biturbo 1988 e 1991, Khamsin, Ghibli II, Quattroporte IV e Shamal.
Impossibile raccontare e commentare in poche righe le sue opere, visto che nei due volumi ‘Marcello Gandini. Maestro of Design’ della Sen Gautam sono servite 800 pagine per descrivere la sua carriera. Forse il titolo che il Mauto di Torino ha dato alla mostra che gli è stata dedicata nel 209 – Marcello Gandini. Genio nascosto – spiega il carattere di questo grande del design piemontese, come ben descrive una lunga intervista pubblicata dal sito specializzato internationalclassic.com.
“Sono stato in collegio dai Salesiani fin dall’età di otto anni – racconta Gandini, che è figlio di un musicista – Nel pomeriggio, quando gli altri giocavano oppure alla ricreazione, tra una lezione e l’altra, io dovevo studiare musica. Non potevo giocare al pallone, ma andavo a lezione da un maestro di pianoforte. Quello è stato il sistema per farmi odiare il pianoforte, sono stati anni di sofferenze. In realtà non ho bisogno della musica mentre lavoro, il silenzio è una bellissima cosa”. E ribadisce che “il silenzio ha una forza incredibile e anche per fare cose terra terra come disegnare un’automobile. Il silenzio è un qualcosa che coinvolge un po’ tutto. Un modo di pensare, di comportarsi, di concentrarsi, ci mette in un atteggiamento nei confronti del mondo particolare per cui qualche ideuzza finisce per venir fuori”.
Non a caso Gandini vive e lavora da più di 40 anni in una ex abbazia ai piedi del monte Musinè, con un magnifico chiostro attorno a cui si articolano l’abitazione e lo studio. “Ci abbiamo messo quattro anni, o poco meno, per restaurarla – spiega il designer torinese – L’edificio nacque intono al 1000, era di proprietà dell’Abbazia di Sant’Antonio, lo fu fino alla fine dell’Ottocento”. E svelando di dormire non più di tre ore per notte, Gandini ribadisce nell’intervista a internationalclassic.com che “l’ambiente ha la sua rilevanza. Il fatto di essere soli di notte ha un suo fascino, per me.
Ricordando l’inizio della sua attività da libero professionista, circa quarant’anni fa dopo la lunga esperienza in Bertone, Gandini sottolinea che “quando mi sono messo a lavorare da solo, nel mio studio, fin da subito è stata un’altra vita. Quando mi sono messo in proprio, invece di svegliarmi presto per essere puntuale al lavoro, iniziavo facendo una corsa in montagna e per le 11 attaccavo a lavorare”.
L’autore dell’intervista pubblicata da internationalclassic.com commenta sottolineando che “Marcello Gandini è un uomo riservato e ogni dettaglio che lo riguarda rifugge alla vistosità. L’eleganza lo contraddistingue nei lineamenti e nella gestualità. La sobrietà nella parola. La delicatezza d’animo e la forte personalità rendono il maestro molto carismatico. Alcune delle sue creazioni trasmettono stravaganza, altre grazia e potenza, ma tutte sono delle grandissime ammaliatrici. Sono vetture che strizzano l’occhio alle concorrenti e dichiarano aperta la sfida”.
Per Gandini le ‘belle macchine’ non sono però da considerarsi opere d’arte che se “hanno in comune con l’arte il fatto di generare emozioni. A mio avviso, in ogni caso, è una cosa molto diversa. Ha qualche parentela con la scultura. Le automobili hanno le stesse esigenze di una scultura, quella di dare delle emozioni e poi il fatto di essere tridimensionali. Se lei prende d esempio il David e gli si gira intorno, si ha la sensazione di un qualcosa di vivo”. E ammette che “se guardo la Stratòs e lo faccio da diverse angolazioni, non resto immobile mi muovo in un certo modo intorno all’auto, c’è una sorta di scambio tra chi guarda e la vettura. Si possono avere sensazioni diverse per la stessa cosa. Questo rapporto, per esempio, su certe automobili, devo ammettere che esiste”.