Tra sé e le automobili piazzò una scrivania che gli dava il senso della normalità. Nino Vaccarella, “Ninni” per gli amici, morto a Palermo all’età di 88 anni, ha fatto sognare gli appassionati di motori almeno per due decenni. L’introverso Enzo Ferrari disse di lui: “Se la Sicilia ha un volto automobilistico, è quello di Ninni Vaccarella”, uno che non si è lasciato fagocitare dal successo, usando il suo talento nei fine settimana, quando lasciava la scuola Oriani di Palermo, di cui era preside, per andare nei circuiti di mezzo mondo. Partiva con una piccola valigia e il casco bianco, tornava portando qualche trofeo. Mai volle un contratto che lo legasse a tempo pieno a una casa automobilistica, preferiva le prestazioni occasionali, che di occasionale avevano ben poco: tre volte vincitore della Targa Florio (la gara più antica al mondo, nata nel 1906), Vaccarella aveva cominciato a correre negli anni Cinquanta, fresco di laurea in giurisprudenza. La sua prima partecipazione alla Targa – sul tracciato di 72 chilometri – risale al ’58, con una Lancia Aurelia. Sei anni dopo il “Preside volante” mette tutti in fila alla 1000 km del Nurburgring, contribuendo alla conquista del Mondiale marche da parte della Ferrari. Un mese dopo passa per primo sotto la bandiera a scacchi anche a Le Mans, il circuito della mitica 24 Ore. Nel suo palmares figura pure il trionfo, nel ’70, alla 12 ore di Sebring, insieme a Mario Andretti e Ignazio Giunti, il pilota romano che qualche mese dopo avrebbe perso la vita in un rocambolesco incidente a Buenos Aires. Grande velocista (corse anche qualche Gran premio di Formula 1 nella prima metà degli anni Sessanta) e stradista di prim’ordine, nell’assolata e lenta Sicilia il suo nome era sinonimo di velocità, legato ai marchi della Maserati, della Ferrari, dell’Alfa Romeo. Negli anni Settanta, alla guida di un’auto per famiglia e con a bordo un paio di piloti, fu fermato dalla polizia – sulle Madonie, lungo il tracciato della Targa – che gli contestava l’eccesso di velocità. “Ma lei chi crede di essere – gli disse l’agente – Nino Vaccarella? Senza batter ciglio gli esibì la patente. In quelle stesse Madonie che avevano visto i suoi trionfi e dove ancora oggi qualche appassionato rinfresca le scritte che evocano il suo nome, Vaccarella subì un brutto tiro del destino: il figlio Giovanni, durante una ricognizione del circuito in vista di un rally, ebbe un incidente che lo costrinse sulla sedia a rotelle. Con il garbo che l’ha sempre contraddistinto, Nino Vaccarella è riuscito a far luce su un episodio che l’aveva a lungo amareggiato: nel ’67, a Collesano, il comune che gli ha conferito la cittadinanza onoraria e dove c’è un museo dedicato alla Targa Florio, il “Preside volante” sfiorò il marciapiede e la sua Ferrari P4 – l’auto favorita – si ritrovò con due gomme a terra. I giornali, imbeccati da uno spettatore, dissero che aveva sollevato un braccio per salutare i tifosi. Enzo Ferrari credette per qualche tempo a quella fandonia, in seguito smentita da chi l’aveva propagata. E a sottolineare il legame eterno tra l’asso del volante siciliano e il Cavallino Rampante ecco il ricordo dell’amico ed ex presidente della scuderia di Maranello Luca Montezemolo: “Con Nino Vaccarella scompare un pilota che ha legato il suo nome a tante vittoriose imprese della Ferrari, un ambasciatore della Sicilia nel mondo e un tifoso e amico che è sempre stato vicino a me e alla Scuderia. In questo triste momento sono accanto alla sua famiglia, alla quale esprimo il mio profondo cordoglio”. Protagonista di una stagione epica, negli ultimi anni Vaccarella si è speso per ridare lustro alla gara che più ha amato, la Targa Florio, dal ’78 trasformata in rally. Con i suoi racconti e la sua memoria ha puntellato le strade che hanno visto passare i più grandi campioni di tutti i tempi e che oggi, inspiegabilmente, cadono a pezzi.